Arriva il tempo di pensare in maniera conclusiva: pare che questa sia la fase dell’anno che meglio si presta all’uopo. E devo dire che il tempo, piuttosto che arrivare, mi è proprio caduto in testa con la stessa forza di una travata.
Conseguenza: sono due giorni che vivo una sorta di stand-by narcolettico auto-indotto.
Finita la sessione straordinaria delle 72 ore interamente trascorse a cucinare-lavare-rassettare-mangiare-lavare-rassettare, intervallate da brevi spazi di trance iperglicemica, ora mi tocca mettere a cuocere un piccolo bilancio del 2009. Non so perché, ma mi tocca.
Cioè, lo so perché: perché il 2009 è stato l’anno dei grandi tagli. Agìti e subìti.
Piccole cose, all’inizio: spuntature, smussature, accorciamenti.
Poi le grandi forbici metafisiche si sono trasformate in una mannaia ferale che ha iniziato a recidere un po’ di legami.
Anche se poi il taglio più netto di tutti l’ho fatto a mani nude e assomigliava un po’ quel sacrificio azteco (?) in cui si strappa il cuore dal petto per offrirlo alla divinità. Solo che la vittima sacrificale ed il sacerdote officiante erano la stessa persona: io. Ma la buona notizia è che non mi sono strappata il cuore, ma solo una membrana un po’ spessa che lo ricopriva.
Ora, come bilancio non mi sembra particolarmente brillante: però sospendo il giudizio su questo capitolo, perché quando faccio qualcosa (di buono o di cattivo) me ne accorgo sempre dopo.
Invece, voglio concentrarmi sulle persone, che sono sempre la parte più cospicua della mia vita: e adesso le sto pensando una ad una.
Quelle degli affetti di sempre e quella degli affetti di mai. Quella che se n’è andata lontano e quelle che lontano ci sono sempre state, ma che sono più vicine di tante nei paraggi. Quella che non ho ben capito come o perché, ma è andata così. Quella che ho capito come e perché, ma mi dispiace lo stesso che sia andata così. Quelle che sono sbucate fuori all’improvviso ‘come pepite in un mucchio di sassi’ (e magari non hanno ancora una faccia o una voce, come piccoli feti di amicizie nasciture) e mi hanno reso felice proprio per la loro estemporaneità. Quelle generose e calorose come una fetta di torta panna e fragole e quelle tiepide come una minestrina riscaldata, ma tutte indispensabili (il segreto è un alimentazione varia).
Quelle che fanno e dicono cose che mi piacciono e per questo mi insegnano tanto, e quelle che fanno e dicono cose che non mi piacciono, ma mi insegnano tanto lo stesso (però col metodo maieutico).
E tante altre ancora, tra cui soprattutto quelle che mi fanno ridere e quelle con cui rido.
Ma non tutte: perché ho capito che si può fare a meno di molte persone e moltissime di più possono fare a meno di me.
Ma è proprio questa la cosa più meravigliosa di tutte: pensare che, nonostante ciò, ci si cerchi lo stesso.
lunedì 28 dicembre 2009
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