venerdì 8 gennaio 2010

Vita ad engrammi.

Gli engrammi mi hanno sempre affascinato: rappresentano la nostra capacità di agire per default.

Una sorta di modalità automatica che ci permette di eseguire anche operazioni complesse, mentre, sotto sotto, pensiamo ad altro.
L’esempio classico della funzionalità degli engrammi ci è dato dalla guida dell’auto: usciamo dal garage e intanto prendiamo appunti mentali su come affrontare quel tal problema; oppure, imbocchiamo la tangenziale e contemporaneamente decidiamo cosa cucinare per gli amici che verranno a cena. Poi, può anche capitare  di discutere mentalmente e appassionatamente con un’altra persona, e quindi rendersi conto di aver cannato l’uscita. Però, incredibile dictu, abbiamo continuato a guidare. E senza causare incidenti.
Perché abbiamo usato la nostra dotazione di engrammi.

Ora, tutto ciò è meraviglioso e sicuramente segno di grandezza divina.
Tranne quando ci rendiamo conto che stiamo percorrendo la nostra vita ad engrammi.
In che modo? Assumendo sempre le stesse modalità di comportamento perché sono state reiterate e quindi codificate dal nostro sistema psicomnemonico.
Continuando una routine che ha senso solo come ottundimento dei sensi e delle ragioni vere che ci porterebbero a sovvertirla.
Poi, succede di ritrovarsi su una strada che non sappiamo neanche quando abbiamo imboccato e di chiedersi “ma dove sto andando?” (o come Quelo “ma quando sto andando?”).
La risposta è nella prima traversa a sinistra e non è mai sbagliata, ve lo assicuro.
Però, per imboccarla, bisogna scendere dalla macchina e proseguire a piedi.